Si è conclusa con esito favorevole la vicenda processuale che ha visto coinvolto un militare appartenente al corpo della Guardia di Finanza.
Con sentenza dell’11 settembre 2023, pronunciata dal Tribunale Militare di Roma, un Appuntato appartenente al Corpo della Guardia di Finanza è stato assolto dal reato contestato di diffamazione aggravata nei confronti del proprio Comandante di reparto.
La vicenda trae origine da uno scritto inizialmente considerato anonimo ed inviato al Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Roma: in questo scritto – il cui autore all’epoca dei fatti risultava essere ignoto – si denunciava una serie di illeciti di diversa natura – anche penalmente rilevanti – commessi da un Luogotenente della Guardia di Finanza, precisamente da un comandante di un’articolazione di Roma.
L’atto in questione faceva riferimento ad una serie di accadimenti che spaziavano dal peculato d’uso alle minacce, dall’abuso di potere al falso ideologico, circostanze dettagliatamente riportate all’interno della comunicazione pervenuta al Comandante Provinciale di Roma.
All’esito di una serie di verifiche effettuate gli investigatori sono riusciti a risalire al soggetto accusato di essere l’anonimo detrattore: ciò è stato possibile attraverso la comparazione della scrittura rinvenuta sulla busta – in particolare l’indirizzo scritto a mano presente sulla busta dell’anonima missiva – ed i campioni di scrittura acquisiti dai militari appartenenti a quell’articolazione del Corpo della Guardia di Finanza; comparazione che ha permesso di risalire (sulla base della perizia calligrafica effettuata dal R.I.S dell’Arma dei Carabinieri) all’imputato nei confronti del quale la Procura Militare di Roma ha ritenuto di contestare il reato di diffamazione aggravata ai sensi e per gli effetti dell’artt. 47 n. 2 e 227 comma 2 del c.p.m.p., perpetrata – secondo il capo di imputazione – ai danni del comandante di reparto dell’Appuntato.
L’istruttoria dibattimentale tuttavia, (nel corso della quale è bene precisare il militare ha sempre negato di essere l’autore della comunicazione anonima), ha svelato un quadro in effetti alquanto desolante di questa vicenda, posto che diversi testimoni, indicati dalla difesa del militare incolpato ed escussi sul punto, hanno sorprendentemente confermato la veridicità del contenuto di quella missiva; in ragione dunque di tale conferma il Tribunale Militare di Roma non ha potuto pertanto esprimere un giudizio di colpevolezza nei confronti del militare imputato, posto che le affermazioni riportate in alcun modo potevano essere ricondotte ad un utilizzo di un linguaggio caratterizzato da attacchi gratuiti alla vita personale o professionale del diretto Superiore Gerarchico, vieppiù in considerazione del fatto che sono risultate, come premesso, confermate da diversi militari appartenenti a quel comando.
D’altro canto, il principio enunciato è stato più volte confermato dalla giurisprudenza, anche di legittimità della Suprema Corte di Cassazione, la quale – a più riprese – ha stabilito come la veridicità del contenuto in assenza di un linguaggio che possa trasmodare in un’offesa gratuita al diretto interessato non può assurgere a condotte penalmente rilevanti per ciò che concerne il reato di diffamazione.
Tale indirizzo giurisprudenziale è stato di recente ribadito da una sentenza del 28 luglio del 2023 della V Sezione della Suprema Corte di Cassazione che, in un caso analogo, aveva assolto un militare dei Carabinieri sebbene condannato in primo ed in secondo grado di giudizio, annullando, in tal modo, le pronunce di condanna “perché il fatto non sussiste” – esattamente come accaduto con l’odierno imputato che, all’esito del procedimento penale, è stato prosciolto da tutte le accuse.
Tuttavia, anche se i fatti contestati non sono in alcun modo riconducibili all’Appuntato, ciò non esclude che, a seguito dell’esito del procedimento penale, l’amministrazione possa comunque avviare – come probabilmente accadrà – un procedimento disciplinare teso a valutare sotto tale ulteriore profilo la condotta del militare; in particolare si ritiene che oggetto di disamina saranno le modalità con cui il militare dipendente ebbe a segnalare (rectius denunciare) gli illeciti oggetto della contestata comunicazione.
Sia consentito rilevare sul punto come, in virtù dello status rivestito, su ogni militare incomba un preciso obbligo di relazionare – per il tramite della scala gerarchica – ogni fatto o circostanza di cui venuto a conoscenza personalmente o per interposta persona, attraverso la predisposizione di formali comunicazioni tassativamente codificate.
L’inoltro di uno scritto anonimo al proprio Comandante Provinciale, come noto, non rientra fra le modalità contemplate dalle disposizioni divisate in materia.
Ad ogni buon conto, stante le testimonianze di diversi militari testimoni succedutisi nel corso del procedimento penale, nell’ambito del quale sono emerse condotte che sembrerebbero assurgere ad illeciti sia di natura penale che disciplinare, si ritiene altamente probabile che la Procura Militare di Roma possa avviare nei confronti del Luogotenente in questione un procedimento penale che nel qual caso, a parte invertite, dovrebbe esaminare la sussistenza degli elementi emersi nel corso del dibattimento sulla base dei quali la Procura avrà il compito di verificare la sussistenza o meno di eventuali responsabilità emerse nei confronti del Comandante di reparto che, da persona inizialmente offesa dal reato, rischia ora di rispondere penalmente (e non solo) per fatti rispetto ai quali inizialmente ne era stato ritenuto la vittima.