La Legge 24 marzo 2001, n. 89, c.d. legge Pinto, ha introdotto nel nostro ordinamento un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo.
La L. 24/03/2001, n. 89, c.d. legge Pinto, ha introdotto nel nostro ordinamento un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo (art. 1-bis, L. 24/03/2001, n. 89). La ratio di tale previsione risiede nella necessità di salvaguardare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e costituzionalizzato all’art. 111 Cost. quale corollario del principio del c.d. giusto processo.
Nel silenzio del dato normativo, l’equa riparazione è stata ricondotta dalla giurisprudenza nell’ambito delle riparazioni di natura indennitaria, nel senso che lo Stato è ex lege obbligato al risarcimento dei danni conseguenti all’esercizio di un’attività lecita.
Indipendentemente dal grado in cui si concludono, il procedimento previsto dalla Legge Pinto si applica a:
- controversie civili;
- procedimenti penali;
- procedimenti amministrativi;
- procedure fallimentari;
- procedimenti tributari.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, L. 24/03/2001, n. 89, il termine di ragionevole durata del processo si considera rispettato se non eccede la durata di:
- 3 anni per i procedimenti di primo grado;
- 2 anni per i procedimenti di secondo grado;
- 1 anno per il giudizio di legittimità;
- 3 anni per i procedimenti di esecuzione forzata: i procedimenti di esecuzione devono essere considerati distintamente rispetto al procedimento di cognizione, di conseguenza i termini devono essere sommati (Cass., SS.UU., 19/03/2014, n. 6312);
- 6 anni per le procedure concorsuali.
La domanda per l’equa riparazione si propone al Presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.
La competenza ha carattere inderogabile ex art. 28 c.p.c.
La proposizione della domanda di equa riparazione è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti:
- irragionevole durata del processo;
- attuazione dei rimedi preventivi individuati all’art. 1-ter, L. 24/03/2001, n. 89: tale requisito, richiesto a pena di nullità, è stato previsto dal 01/01/2016 e si applica ai procedimenti la cui durata, dopo il 31/10/2016, eccede i termini ragionevoli;
- esistenza di un danno;
- nesso causale tra l’irragionevole durata del processo ed il danno.
E’ inoltre escluso il diritto all’indennizzo (art. 2, comma 2-quinquies, L. 24/03/2001, n. 89):
- in favore della parte soccombente condannata per responsabilità aggravata ex 96 c.p.c.;
- nel caso in cui il Giudice abbia accolto la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa a norma dell’art. 91, comma 1, c.p.c.;
- quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore nel corso del procedimento di mediazione ex 13, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010;
- nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte;
- quando l’imputato non ha depositato l’istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi al superamento dei termini ex 2-bis;
- in ogni caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento;
- quando, per effetto del pregiudizio, la parte ha conseguito dei vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo.
Il procedimento, così come modificato dalla L. 07/08/2012, n. 134, è caratterizzato da due fasi:
- inaudita altera parte: fase necessaria;
- in contraddittorio: fase eventuale, a cognizione piena, provocata dall’opposizione di una delle Parti
La domanda di equa riparazione deve essere presentata con ricorso al Presidente della Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Giudice dinanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto (ex art. 3, comma 1, L. 24/03/2001, n. 89).
Unitamente al ricorso deve essere depositata copia autentica di:
- atti relativi al procedimento in cui si assume verificata la violazione: atto di citazione o ricorso; comparse, memorie;
- verbali di causa e provvedimenti del Giudice;
- provvedimento che ha definito il giudizio, se concluso con sentenza o ordinanza irrevocabile.
La produzione di tali documenti da parte del ricorrente si spiega in ragione della natura monitoria che caratterizza la prima fase del procedimento a seguito della riforma del 2015. Infatti, i documenti soddisfano il requisito della prova scritta richiesto ai fini della concessione dei provvedimenti monitori inaudita altera parte.
L’omessa produzione di parte dei documenti di cui è richiesto il deposito non determina automaticamente il rigetto della domanda, trovando applicazione l’art. 640 c.p.c. Pertanto, il Giudice può chiedere un’integrazione dei documenti prodotti. In caso di mancata risposta alla richiesta di integrazione, il Giudice rigetta il ricorso (Cass. 02/09/2014, n. 18593).
L’art. 4, L. 24/03/2001, n. 89 prevedeva che il giudizio rispetto al quale si lamentava la violazione dell’irragionevole durata del processo fosse concluso in via definitiva da non più di 6 mesi.
Tuttavia, recentemente la norma è stata dichiarata parzialmente incostituzionale, prevedendo la possibilità di proporre la domanda di equa riparazione anche in pendenza di procedimento (Corte cost. 26/04/2018, n. 88).
Il termine di decadenza è sospeso:
- nel caso di inizio di un procedimento di mediazione, anche facoltativa, entro 6 mesi dalla definizione del giudizio presupposto (art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 28/2010);
- durante la sospensione feriale dei termini (Cass., SS.UU., 22/07/2013, n. 17781).
In presenza dei presupposti, la domanda di equa riparazione può essere presentata da chiunque, indipendentemente da:
- posizione assunta dal ricorrente nel giudizio in cui si lamenta la violazione del principio di ragionevole durata del processo;
- esito del giudizio in cui si lamenta la violazione del principio di ragionevole durata del processo;
- importanza o consistenza economica del giudizio.
La legittimazione attiva alla richiesta di equa riparazione del danno non patrimoniale è riconosciuta in capo a: persone fisiche, persone giuridiche ed enti collettivi (Cass. 12/01/2016, n. 322).
Il ricorrente ha l’onere di allegare i fatti rilevanti dedotti nel ricorso.
L’onere di allegazione della parte riguarda (Cass. 28/10/2005, n. 21093):
- a posizione nel processo;
- la data iniziale del processo;
- la data della definizione del processo;
- gli eventuali gradi in cui si è articolato il giudizio.
Il Giudice ha il potere di assumere informazioni (ex art. 738, comma 3, c.p.c.).
Ai sensi dell’art. 3, comma 5, L. 24/03/2001, n. 89, le parti possono richiedere al Giudice di disporre l’acquisizione degli atti del procedimento in cui assumono verificata la violazione del principio di ragionevole durata del processo.
La liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire secondo equità. Ai fini dell’individuazione dei parametri di riferimento, si è giunti a ritenere vincolanti i precedenti europei della Corte EDU (Cass., SS.UU., 26/01/2004, n. 1340).
La natura indennitaria del diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo fa sì che il Giudice operi una liquidazione complessiva ed omnicomprensiva del danno.
- Fase decisoria
Ai sensi dell’art. 2, L. 24/03/2001, n. 89, nell’accertare la violazione del termine di ragionevole durata del processo, il Giudice deve valutare:
- la complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate nel procedimento;
- l’oggetto del procedimento;
- il comportamento delle parti e del Giudice nel corso del procedimento;
- per stabilire se l’effettiva durata superi in maniera ingiustificata la soglia di ragionevolezza.
Termine
Il Presidente della Corte d’Appello o un diverso magistrato designato, deve pronunciarsi sulla domanda di equa riparazione entro il termine ordinatorio di 30 giorni dal deposito del ricorso.
In caso di accoglimento della domanda di equa riparazione, il Giudice ingiunge, con decreto motivato provvisoriamente esecutivo, all’amministrazione contro cui è stata proposta la domanda, di pagare senza dilazione la somma liquidata a titolo di equa riparazione, autorizzando in mancanza la provvisoria esecuzione (concessa ex lege).
Stante il carattere potenzialmente definitivo del provvedimento, nel decreto il Giudice deve liquidare le spese del procedimento e ingiungere il pagamento. Trova applicazione l’art. 91 c.p.c.
Il decreto di accoglimento deve essere notificato, unitamente al ricorso, per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è stata proposta (art. 5, L. 24/03/2001, n. 89). La notifica deve intervenire, a pena di inefficacia, entro 30 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e rende improponibile l’opposizione da parte del ricorrente. In caso di inefficacia, è preclusa al ricorrente la possibilità di riproporre la domanda in sede monitoria.
La notifica deve essere eseguita dal ricorrente, a pena di nullità ex art. 11, R.D. 30/10/1933, n. 1611,presso l’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato con sede presso la Corte d’Appello che ha pronunciato sulla domanda di equa riparazione. In caso di nullità, la notifica è suscettibile di rinnovazione ex art. 291 c.p.c. o di sanatoria se l’Amministrazione si costituisce in giudizio (Cass. 27/02/2008, n. 5212).
Il decreto di accoglimento dev’essere comunicato, altresì al Procuratore generale della Corte dei Conti, ai fini dell’avvio del procedimento di responsabilità, ed ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici.
L’indennizzo è determinato ex art. 2056 c.c. tenendo conto di:
- esito del processo in cui si è verificata la violazione;
- comportamento del Giudice e delle parti;
- natura degli interessi coinvolti;
- valore e rilevanza della causa.
Il Giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 300 euro e non superiore a 800 euro, per ciascun anno o frazione di anno superiore a 6 mesi che eccede il termine ragionevole di durata del processo (ex art. 2-bis, L. 24/03/2001, n. 89).
Il Giudice, con decreto motivato, rigetta la domanda in caso di:
- mancanza dei presupposti;
- mancata risposta all’invito ad integrare le prove;
- non sussistenza della prova del danno.
Se il Giudice respinge in tutto o in parte la domanda di equa riparazione, questa non può più essere riproposta ma il ricorrente può proporre opposizione ex art. 5-ter, L. 24/03/2001, n. 89 .
L’opposizione si propone con ricorso all’ufficio giudiziario al quale appartiene il Giudice che ha emesso il decreto. Non può prendere parte al Collegio il Giudice che ha emanato il decreto impugnato.
Il ricorso deve essere presentato nel termine perentorio di 30 giorni (art. 5-ter, L. 24/03/2001, n. 89)
L’opposizione si svolge nelle forme del procedimento camerale ex artt. 737 ss. c.p.c. . L’opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento, ma il Collegio, quando ricorrono gravi motivi, può sospendere l’efficacia esecutiva del decreto opposto, con ordinanza non impugnabile.
Il Collegio ha ampi poteri istruttori officiosi. I mezzi istruttori possono essere disposti d’ufficio in ogni momento. Il Giudice ha la facoltà di assumente prove atipiche e tipiche, anche con modalità differenti da quelle tipizzate.
La Corte d’Appello è tenuta a pronunciarsi entro 4 mesi dal deposito del ricorso.
Il procedimento di opposizione si conclude con un decreto immediatamente esecutivo, ricorribile in Cassazione. Se la domanda di equa riparazione è dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il Giudice può condannare il ricorrente al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Il decreto che decide sull’opposizione può essere impugnato tramite ricorso in Cassazione . Il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso per Cassazione decorre, dalla notifica del provvedimento ad istanza di parte (Cass., SS.UU., 29/04/1997, n. 3670).
La sentenza emessa al termine del giudizio in Cassazione può essere impugnata, entro 6 mesi, con ricorso alla Corte EDU.
L’esecuzione del decreto avviene tramite accredito sul conto o pagamento del ricorrente. Se l’indennizzo è inferiore a 1.000 euro, il pagamento può avvenire per cassa o tramite vaglia cambiario non trasferibile.
L’Amministrazione è tenuta al pagamento entro 6 mesi dalla data in cui il ricorrente ha integralmente assolto l’obbligo di trasmissione relativo alla dichiarazione per il pagamento.
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